Le storie d’amore, anche le più coinvolgenti e intense, purtroppo possono finire. Quando ci si lascia di comune accordo, risulta più semplice affrontare il periodo di “ripresa” e, nonostante si soffra per la fine di un progetto insieme, non ci si sente schiacciati o inermi. Quando invece si viene lasciati, allora non è più un semplice dolore: l’angoscia di essere abbandonati può divenire una vera malattia, una frattura che spezza la vita in due (prima e dopo l’abbandono), lasciando svuotati e confusi.

I cambiamenti cui far fronte dopo un abbandono, riguardano anche l’organismo. A livello biochimico, durante l’innamoramento, aumenta la produzione di endorfine e di feniletilamina. La conseguenza è un aumento del senso di benessere, euforia, vitalità e desiderio sessuale, tutto ciò che rende unico e magico il momento dell’innamoramento e che, in un certo senso, fa sentire come sotto l’effetto piacevole di una “droga” euforizzante ed eccitante. Quando la relazione finisce, per contro, si ha un crollo dei livelli di queste sostanze con conseguente ansia, apatia, senso di frustrazione, irritabilità…. Talvolta le conseguenze possono essere molto pesanti, e la fine di una storia può diventare profondamente destabilizzante.

Ogni aspetto della propria vita va rivisto e ristrutturato, ogni cosa, anche i dettagli che riportano ai ricordi condivisi con l’ex partner, viene vista con occhi diversi, e quello che prima rendeva appagati e compiaciuti, dopo la rottura diventa un incubo dal quale sembra non ci si riesca più a svegliare. E allora è importante considerare che l’essere umano è dotato di una struttura interna predisposta ad affrontare cambiamenti improvvisi, emergenze, traumi, perdite inaspettate, incidenti, abbandoni. Questa struttura interna, però, prevede che ci si trovi faccia a faccia con emozioni quali tristezza, dolore, disperazione, rabbia, frustrazione, solitamente ritenute emozioni “negative”, dalle quali è bene stare lontani o scappare il prima possibile. In realtà queste emozioni sono necessarie e indispensabili nel processo di elaborazione che la nostra struttura interna deve affrontare. Emozioni che, solo se accolte e ascoltate fino in fondo, possono trovare il modo più adeguato per esprimersi ed essere condivise. Dandogli il giusto spazio, anche il dolore più profondo assolve un ruolo costruttivo e non distruttivo. Per questo, dopo la fine di una storia, bisogna concedersi un legittimo “periodo di lutto”, come un periodo di convalescenza, nel quale la mente è impegnata a resettare le informazioni vecchie integrandole con le nuove. E’ il tempo adeguato per poter elaborare l’infelicità e cicatrizzare le ferite; trovare una spiegazione, capire, apprendere dall’esperienza della perdita e farsene una ragione; prendere l’iniziativa , affrontare la situazione, piuttosto che lasciarsi andare e autodistruggersi; adottare la filosofia (dell’antica Cina) “può essere una disgrazia, può essere una fortuna “; far leva sulle forze residue per prendere in mano la situazione, accettando l’evento traumatico come una sfida, verso ulteriori traguardi possibili, poiché “la vita continua”, ed è l’unica che abbiamo. Questo comporta notti insonni, pianti improvvisi, scatti di ira, difficoltà ad affrontare la quotidianità, isolamento sociale o, al contrario, paura a restare da soli, sbalzi di umore, ecc. Rendere questo tempo uno spazio di cura e di rinascita per sé stessi è fondamentale, anche se non sempre facile.
A volte da soli non si riesce nemmeno ad intravedere la direzione da prendere e, in questo caso, chiedere aiuto ad un professionista della salute psicologica può essere un primo passo di rispetto verso sé stessi e verso la propria vita.

Commenti recenti